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Lasciamo Backa Palanca ed i fantastici fagioli di Zoran nel pomeriggio, per fortuna dobbiamo solo percorrere 40 km per arrivare a Novi Sad, dove ci attende Aleska, contattato tramite Warmshower, che ci ospiterà per la notte. Da Osjiek, in Croazia, abbiamo cominciato a seguire i cartelli della Ciclovia del Danubio che finora si sono rilevati di una precisione incredibile. Non solo segnano i chilometri che mancano alla meta, ma anche il tipo di fondo stradale e qualche interessante citazione che ci costringe spesso a fermarci per leggere cosa c’è scritto.

L’unico difetto non capiscono la differenza tra strada non asfaltata e strada sterrata. Infatti poco dopo Backa la ciclovia si divide e premurosamente i cartelli indicano quali sono le differenze tra i due percorsi. Il primo è più corto ma corre lungo la statale, il cartello avvisa che potrebbe essere trafficata ma che il manto stradale è asfaltato. Il secondo è più lungo e segue le sponde del fiume, secondo il cartello 4 km del percorso sono su percorso non asfaltato, lo suggeriscono in quanto più tranquillo e lontano dal traffico. Naturalmente scegliamo la seconda opzione, 4 km di strada non asfaltata non ci sembrano poi molti. Cominciamo quindi a percorrere una piacevole strada, senza macchine e che costeggia il bosco lungo il Danubio.

Il primo tratto è asfaltato, dopo pochi chilometri l’asfalto finisce e comincia una strada con fondo sconnesso e brecciolino, pensiamo sia questo il tratto non asfaltato ma il conta chilometri dice che stiamo già percorrendo più dei 4 chilometri segnalati. Continuiamo quindi imperterriti a seguire i cartelli della ciclovia fino a quando non ci troviamo nel bel mezzo di campi coltivati, dove il percorso diventa un single track nell’erba! Altro che non asfaltato, avrebbero dovuto scrivere off road! Con le biciclette cariche la pedalata è decisamente poco piacevole, in alcuni brevi tratti ci troviamo inoltre a spingere i nostri mezzi nel fango! Decidiamo quindi dopo qualche chilometro che la statale risulta per noi la soluzione migliore, d’altra parte il traffico che il cartello segnala è nulla a confronto con quanto siamo abituati ad affrontare a Roma. Arriviamo quindi alla periferia di Novi Sad nel tardo pomeriggio.

Sognando la Serba

I campi rom immediatamente all’ingresso ed i palazzi in disuso ci ricordano molto la periferia di casa nostra, ma basta girare l’angolo che tutto cambia. Ci troviamo all’improvviso su un lungo fiume estremamente curato: pista ciclabile, pista per camminare e pista per correre! Verdi prati curati e battelli sul fiume dove potersi fermare e gustare un aperitivo (ma non è il nostro caso, tranquilli!). Perdiamo tempo cercando un bagno, un bancomat e ad ammirare il centro della città tant’è che alla fine si fa buio. Aleksa abita poco fuori dal centro, la casa si trova sulle “colline” di Novi Sad e apparentemente la strada dove è posta non ha nome, per cui ci ritroviamo a spingere le biciclette in salita su stradine di campagna con cani che abbiano come impazziti per la nostra presenza. Finalmente dopo vari tentativi troviamo Aleksa.

Piccola nota, eravamo convinti che Aleksa fosse una donna, Daniele da giorni sognava di essere ospitato da una biondina serba ed invece è un ragazzo alto e sorridente. Lo troviamo intento a riparare la sua bicicletta con le mani completamente sporche di grasso. E’ davvero eccitato dalla nostra presenza, siamo i suoi primi Warmshowerers! La casa è grande ed accogliente e ci spiega che è stata costruita da loro direttamente, in quanto comprare una casa in Serbia è troppo costoso per cui tutti se la costruiscono da soli, nel tempo. Niente piano regolatore, ma le case sono tutte ben costruite e nel pieno rispetto dell’architettura della città. Difficile trovare posti con ammassi di costruzioni fatiscenti tutte diverse luna dall’altra. Per la loro ci sono voluti quasi 10 anni ed ancora non è finita. Già da queste parole capiamo che la situazione in Serbia è davvero differente rispetto alla Croazia ed alla Slovenia. La serata con Aleska passa velocemente, abbiamo molte cose in comune a partire dalla passione per la bicicletta e la sua voglia di cominciare ad arrampicare. Inevitabilmente la conversazione si sposta poi sul periodo della guerra.

Aleska ci racconta come lui e la sua famiglia hanno vissuto i giorni dei bombardamenti NATO. Ci racconta che secondo i suoi nonni e genitori, nel periodo in cui esisteva l’ex Yugoslavia, prima della caduta di Tito, la situazione in Serbia era economicamente migliore. Tutti riuscivano in qualche modo a mangiare o lavorare. Oggi invece non è più così, c’è molta disoccupazione ed il tasso di povertà è aumentato. Dei bombardamenti ha un ricordo grottesco, quasi divertente. Ci racconta ridendo di come, per correre nel bunker sotto casa, spesso rimanevano incastrato nella porta che, essendo rotta, non si apriva completamente. Altra nota grottesca è che secondo la legge ogni tot palazzi dovesse esserci un bunker (tra l’altro anche in svizzera è obbligatorio ancora oggi e le cantine delle palazzine dispongono di una chiusura antinucleare!) la cui capacità era decisamente inferiore al numero degli abitanti i palazzi, il rapporto era di nemmeno un decimo.

Siamo davvero rapiti dalle sue parole, il nostro sguardo è fisso su di lui e la mente produce le immagini basate sul suo racconto, dobbiamo però avere uno sguardo così perso che Aleska pensa ci stia annoiando! Per noi invece è tutt’altro, abbiamo sete dei suoi racconti. La guerra dei Balcani l’abbiamo vissuta attraverso giornali e lezioni scolastiche, ora invece un ragazzo della nostra età ce la sta raccontando. Ci racconta di come ancora oggi venga insegnato il disprezzo per l’una e l’altra parte della barricata, nonostante sia passato del tempo e nonostante ormai le nuove generazioni siano più interessate ai cellulari che alle questioni politiche. La serata con Aleska passa davvero piacevolmente, in più ha un ping pong in garage e possiamo quindi concedere al nostro corpo un movimento diverso da quello della pedalata! (Per la cronaca, la partita a ping pong Italia -Serbia è finita 3-0!).

Belgrado la città ricostruita

Nonostante il meteo minacci pioggia, la mattina dopo ci mettiamo nuovamente in marcia. Le opzioni per raggiungere Belgrado sono come sempre due, la statale veloce ma molto trafficata ed una serie di strade secondarie che allungano di qualche chilometro il percorso. Optiamo in prima battuta per la statale, ma l’intenso traffico di camion, l’assenza di spazio ed il manto stradale non proprio confortevole ci fanno scegliere la strada alternativa. Il cielo di tanto in tanto si copre di qualche nuvola ma non sembra al momento voglia piovere, pedaliamo quindi piacevolmente tra i vari paesini posti a ridosso del Danubio. La cura dei dettagli della Croazia e della Slovenia qui sembra non esserci più. Le strade sono inoltre piene di cani randagi, affatto aggressivi, piuttosto mesti alla continua ricerca di cibo e con uno sguardo triste che fa stare davvero male. Ci chiediamo se valga la pena portare con noi sacchi di cibo per cani da poter distribuire a tutte queste creature che abitano la strada e che spesso troviamo prive di vita ai bordi delle statali. Riflettiamo sul fatto che attraverseremo paesi dove non ci saranno solo gli animali a vivere come randagi in strada ma anche persone e soprattutto bambini. Riuscirà il nostro mediocre cuore europeo a sopportare tale vista? Nel frattempo che pedaliamo e riflettiamo su quanto vediamo e vedremo il cielo si è fatto sempre più nero. A circa 30 chilometri da Belgrado esplode definitivamente il temporale. Ci dobbiamo fermare spesso perché piove talmente forte che non riusciamo a vedere la strada, inoltre alle porte della città il traffico è aumentato in maniera incontrollabile, soprattutto ci spaventa la quantità di camion che continua a sorpassarci a pochi centimetri di distanza.

Entriamo a Belgrado che piove a dirotto, per fortuna siamo ospiti anche questa notte per cui possiamo concederci di pedalare ed inzupparci a piacere. Nel breve tragitto che porta dalla fine della ciclabile alla casa del nostro ospite veniamo varie volte ricoperti di getti d’acqua dagli autubus della città, è la prima città non bike-friendly che incontriamo da quando siamo entrati nella zona dei Balcani. La ciclabile percorre solo il lungo Danubio, per il resto i ciclisti devono lottare contro tutti i mezzi di trasporto che affollano le enormi (in centro arrivano fino a 4 corsie) strade di questa capitale tutta in salita. Arriviamo sotto casa di Filip che siamo zuppi fin dentro le mutande. Dobbiamo attendere l’arrivo del nostro ospite per cui decidiamo di entrare in un bar per bere e mangiare qualcosa. Ci sediamo ed ordiniamo da bere e chiediamo insistentemente alla cameriera qualcosa da mangiare la quale, un po’ scocciata dalle insistenti richieste, dice ripetutamente che non ha nulla da mangiare. Come è possibile? Filip ci spiega poi che i caffè a Belgrado (e forse in Serbia in generale, ma non abbiamo le prove) non hanno i permessi necessari per cucinare per cui si può solo bere! Beata ignoranza ed abitudine italiana. Capiamo che dobbiamo sempre più scrollarci di dosso le nostre sciocche consuetudini.

Nell’insieme Belgrado è comunque una gran bella città, completamente ricostruita. Dei vecchi palazzi non è rimasto quasi più nulla. Durante la seconda guerra mondiale venne prima bombardata dai tedeschi e poi dagli alleati, una mostra nella fortezza sul Danubio mostra le immagini dell’epoca, la città è stata rasa al suolo diverse volte in quegli anni. E’ andata forse meglio durante i bombardamenti NATO durante la guerra dei Balcani e del Kosovo. Di quel periodo resta a memoria il gigantesco palazzo del Ministero della Difesa, un enorme struttura della quale oggi resta lo scheletro ed i segni evidenti delle granate, segni che si scolpiscono anche nella nostra sensibilità. I segni della guerra nel nostro paese sono legati a strutture vecchie, lontane da noi. Colpisce molto vedere un palazzo moderno completamente devastato. È forse un discorso di vicinanza temporale, non so. Lungo la strada proprio sotto il palazzo uno striscione ricorda le vittime, militari e civili, dei bombardamenti. Non sono più le immagini distanti, in bianco e nero, della prima e seconda guerra mondiale. Sono volti, vestiti, luoghi, colori, storie del nostro presente.

Ma la vita a Belgrado è andata avanti nonostante tutto, i palazzi sono stati ricostruiti e la città si presenta oggi splendida. La sera le strade sono piene di giovani che si muovono liberamente tra le tante aree pedonali del centro. Siamo arrivati nella capitale Serba in un giorno particolare, ovvero la sera prima della manifestazione a favore dei diritti degli omosessuali. Il centro quindi è un dispiegamento di forze, utilizzate principalmente per proteggere i manifestanti che vengono spesso attaccati dai molti omofobi della nazione. L’omosessualità da queste parti nemmeno esiste, lo capiamo dalle parole di un signore che ci ferma in strada e ci tiene a dire che lui proprio non capisce perché questa gente debba manifestare. Lo capiamo dalla scarsa affluenza alla manifestazione. Lo capiamo dalla difficoltà delle persone persino nel dire la parola “omosessuale”. La mattina in cui lasciamo Belgrado le strade del centro sono blindate come mai ci è capitato di vedere a Roma. Riusciamo comunque a lasciare la città senza alcun problema e dirigerci sul lungo fiume per riprendere il nostro cammino verso est.

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