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Venerdi, ore 18. L’impresa più ardua di tutto il fine settimana è senza dubbio salire sull’autobus diretto a Tivoli. Nel giro di mezz’ora ce ne sono ben quattro, partono tutti dalla stazione di Ponte Mammolo e passano per Largo Saragat, appena 25 km più in là lungo la Tiburtina.

Le banchine però straripano di gente e negli autobus i tiburtini sono stipati come i vestiti pesanti ed ingombranti dentro le borse delle nostre biciclette. Bisogna cambiare strategia, anche perché rischiamo di perdere la coincidenza con l’autobus che dovrebbe portarci ad Orvinio, destinazione della serata e partenza del giro del giorno dopo. Decidiamo di impacchettare le biciclette nel portabagagli dell’autobus che va a Subiaco, decisamente più tranquillo. Non passa per Tivoli, ma possiamo scendere a Mandela, percorrere in bici un paio di km fino a Vicovaro, e lì salire sul mezzo che ci porterà a destinazione. Nonostante il poco tempo a disposizione il trasbordo fila liscio come l’olio e per l’ora di cena siamo già davanti al camino della casetta di Marco. Quando entriamo ci sono appena un paio di gradi, poi il nostro calore e quello sprigionato dalla legna farà salire la temperatura a circa 7-8°C. La notte sarà solo un assaggio di quello che ci aspetterà i giorni successivi.

La mattina dopo comincia ufficialmente il giro in bici. Siamo in tre, io, Marco e Simona, e verso le 11 siamo sulle prime salitelle della giornata. Pedaliamo verso est, verso Pozzaglia e Montorio in Valle. Qui incontriamo Massimo, sta facendo un giretto in sabina, ci scambiamo i contatti e ci augura un bel fine settimana. Quando torno a casa vado a vedere il suo sito e scopro che è un grande cicloviaggiatore, e che ero già finito sulla sua pagina in cerca di informazioni di cicloturismo. Davvero una piacevole conoscenza. 🙂 Il giro ci porta lungo la costa del Lago del Turano, passiamo sotto Castel di Tora, attraversiamo il ponte ed arriviamo alla diga all’altra estremità del lago.
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Qui ci rendiamo conto che non possiamo aggirare la salita di Stipes narrata nelle leggende tramandateci dai ciclisti locali incontrati lungo la strada. Per farlo dovremmo allungare il percorso di troppi km, e considerando che non siamo partiti prestissimo e che è inverno e quindi il sole tramonta prima delle 17, non ce lo possiamo permettere.

La salita è mortale, sono 4 km con una media del 9%. Con le biciclette cariche ed una marcia leggera arriviamo in cima piuttosto affannati. Mangiamo qualcosa e riprendiamo subito la marcia, perché dopo un breve tratto di pianura ci aspettano altri 5 km di salita, da Longone Sabino alla sella di Vallecupola, pendenza media del 6-7%. stipes

Arriviamo al valico della sella quando il sole sta tramontando e mentre la temperatura cala vertiginosamente ci copriamo come possiamo e ci buttiamo nella discesa di 10 km che ci porterà al Lago del Salto. Scendere a 30-40 km/h con una temperatura intorno allo zero è fatale. Accuso tantissimo il freddo. Mani e piedi congelati, muscoli atrofizzati, articolazioni bloccate ed un tremolio lungo tutto il corpo che non mi lascia quasi parlare. Il vento in movimento ti entra dentro i vestiti ed attraversa il corpo come una lama affilata, da fermo invece sto meglio ed infatti ogni 2-3 km cerco di riprendere calore. Quando arriviamo lungo le rive del lago cominciamo a cercare un posticino per accampare ed incontriamo diversi spiazzi, ma non abbiamo acqua, quindi dobbiamo proseguire in direzione Borgo San Pietro. Superata la diga, in corrispondenza di un paio di casette, troviamo una fontanella lungo la strada. Ci fermiamo a fare rifornimento e pensiamo che tutto sommato potrebbe essere anche un buon posto per dormire. Cento metri prima c’era un praticello con un paio di tavolini da pic-nic, ed anche se è proprio accanto alla strada, non c’è anima viva e forse potremmo nasconderci dietro un angolino.

L’unica persona che vediamo sta per entrare in macchina per andare via, ma facciamo in tempo a domandargli se la zona è tranquilla e se possiamo appoggiarci con un paio di tende lì dietro. Il buon uomo ci dice che non c’è problema, del resto in zona non c’è nessuno, le case sono tutte disabitate e l’unica persona presente sul posto è Stefano, il guardiano della diga. Tira fuori il cellulare e compone il suo numero. Dalla finestra di una casa poco più in alto si affaccia Stefano, ci conferma che non ci sono problemi, ed anzi, ci consiglia di attraversare un passaggio della recinzione per avvicinarci di più al lago ed allontanarci dalla strada. Inoltre ci rassicura dicendoci che “se stanotte avete qualche problema potete chiamarmi urlando, e domattina se volete vi invito a prendere un caffè a casa”. Beh, meglio di così! Ci sistemiamo su un basamento di cemento per cercare di nasconderci dall’umidità, il termometro segna 0 gradi ed il fornello fatica un po’ a far bollire l’acqua per i tortellini. Dopo cena si può solo scappare con un thermos di tè caldo dentro la tenda e dentro al sacco a pelo.

La mattina ci sveglia un’alba stupenda sulle acque del lago, e si nota che durante la notte siamo scesi sotto zero perché sulle biciclette e sui teli delle tende c’è un sottile strato di brina ghiacciata. Facciamo colazione, rimettiamo via tutto, e con un po’ di pigrizia ricominciamo a pedalare lungo le sponde del lago. La strada è gelida e tortuosa, gli alberi sul ciglio trattengono l’umidità e non lasciano passare i raggi del timido sole. Per i primi 15 km siamo ancora addormentati ed intirizziti dal freddo. Arriviamo a Fiumata con molta calma e con la consapevolezza che ci aspetta una lunga salita: da Sant’Ippolito infatti comincia l’ascesa dei Monti del Cicolano attraverso l’altopiano di Rascino che ci porterà a svalicare in Abruzzo.

I primi km in salita ci svegliano dal torpore mattutino e ci spogliano degli strati che il freddo del lago ci aveva fatto indossare. La pendenza è piacevole e pedalabile, è una di quelle salite che non molla mai un centimetro ma che dà anche tanta tanta soddisfazione. Inizialmente la strada attraversa una miriade di piccoli centri abitati dai nomi strani (Colle Mazzolino, Cercucce, Case Federico ecc.), poi si infila in una valle che si stringe sempre di più fino ad assomigliare ad un canyon nel quale i tornanti ne disegnano le pareti. E’ un asfalto decisamente poco consumato, incontriamo un paio di macchine in tutto il valico e man mano che saliamo cominciamo a vedere accumuli di neve ai lati della strada e sentire l’aria diventare frizzante. E’ piacevole però, perché seppur rigido è un freddo secco che compensa lo sforzo ininterrotto della salita. Dopo 23 km con una media totale del 4% di pendenza arriviamo a Forca Castiglione. 1370 metri di quota e circa zero gradi. Siamo nel territorio di Tornimparte, circondati esclusivamente da estesi pratoni, macchie di neve qua e là e numerosi cavalli che brucano l’erba con estrema calma immersi nella loro solitudine. In cima mangiamo qualcosa anche noi e ci prepariamo di nuovo al grande gelo. Il sole sta per tramontare e da qui in poi la strada verso L’Aquila sarà tutta in discesa ed in ombra. Il versante est è decisamente più freddo, e lo si vede anche dalle molte curve completamente imbiancate dalla brina e da preoccupanti lastroni di ghiaccio.

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Dopo 30 km di vento in faccia arriviamo all’Aquila con le dita di mani e piedi che ormai non rispondono più. Io non ci faccio nemmeno caso perché sono concentrato a capire cosa stia succedendo intorno. A ridosso della città infatti passiamo attraverso una zona industriale con un grande centro commerciale. Luci ovunque, auto impazzite, traffico fuori controllo, persone di fretta. Mentre rimpiango la solitudine ed il silenzio assoluto delle 48 ore precedenti mi ricordo di un paio di dettagli. E’ domenica 8 Dicembre e ci stiamo avvicinando al Natale. Bentornati nella civiltà. Purtroppo.

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